Test di provocazione

Abbiamo visto che test negativo non sempre significa assenza di allergia e che un test positivo non sempre ne esprime, con certezza, la presenza. Ovviamente, però, se il quadro globale, cioè la storia del bambino e della sua malattia nonché i dati emergenti dalla visita medica, è perfettamente compatibile con le risultanze dei test non è necessario alcun ulteriore accertamento diagnostico per negare o affermare la presenza di una malattia allergica. Questi casi rappresentano la maggior parte delle situazioni nella pratica reale.Viceversa ci possono essere casi dubbi, discordanze fra storia clinica (anamnesi) e test; altre volte pur non essendo presente tale discordanza il bambino presenta positività non a uno ma a molti allergeni e può essere pertanto necessario stabilire fra le sostanze risultate positive quale possa essere in realtà la più importante per quei certi sintomi in quel certo bambino. Per tali ragioni si può procedere alla esecuzione dei cosiddetti test di provocazione che consistono nell’esposizione diretta del bambino allergico o ritenuto tale all’allergene o a stimoli di varia natura. Si tratta di accertamenti di terzo livello che competono a centri allergologici. In questa sede basta ricordare che la provocazione per gli allergeni inalatori si esegue usualmente instillando a livello del naso o delle congiuntive quantità progressivamente crescenti della sostanza da testare e si valutano sia con un punteggio basato sui sintomi indotti che con sistemi strumentali, nel caso del naso, gli effetti di queste somministrazioni.
Per gli alimenti, come detto in precedenza, il test di provocazione (challenge) rappresenta a volte quasi un obbligo poiché, generalmente, è abbastanza modesta la probabilità che un test positivo si accompagni ad autentici disturbi all’assunzione dell’alimento. Ovviamente non in tutti i casi è così, e sta al pediatra allergologo il compito di valutare la situazione caso per caso. Tuttavia per le positività meno forti, per positività difficilmente correlabili ai sintomi del bambino, per alcuni alimenti in particolare per i quali la probabilità statistica che al test positivo sia correlata una vera allergia è bassa, si deve procedere alla prova pratica.
Analogamente per malattie per le quali il meccanismo responsabile è più spesso non coinvolgente le IgE specifiche non ci si può ovviamente limitare alla negatività del test, cutaneo o sierologico che sia, per assolvere l’alimento. Anche in questo caso la importanza dell’alimento sospettato va testata praticamente con la sua sospensione per un certo periodo di tempo e la sua successiva reintroduzione dopo il miglioramento della diarrea o della stipsi o del deficit di crescita o dei sintomi della esofagite da reflusso gastroesofageo o della dermatite atopica ecc. ecc.