La dermatite atopica. Che cos’è

La dermatite atopica (che nella attuale terminologia viene chiamata AEDS cioè Atopic Eczema Dermatitis Syndrome) è una malattia della pelle che, come tutte le malattie “allergiche”, ha presentato negli ultimi anni un aumento notevole della frequenza soprattutto nell’età pediatrica. E’ caratterizzata la lesioni cutanee pruriginose, persistenti nel tempo, con localizzazioni e caratteristiche diverse a seconda dell’età del bambino (vedi tabella).
Si tratta spesso di bambini che presentano nel loro ambito familiare, altri soggetti con malattie allergiche come la stessa dermatite atopica, l’asma, la rinite, la rinocongiuntivite.
E’ una malattia estremamente fastidiosa in cui il sintomo principale, il prurito, può essere in alcuni casi veramente disturbante ed interferire pesantemente con il sonno del piccolo lattante. Il lattante nei primissimi mesi di vita non è in grado di grattarsi e quindi il loro fastidioso prurito si esprime, usualmente, con l’irritabilità, l’irrequietezza, il pianto, l’insonnia, lo strofinare il viso sul cuscino.

Come si fa la diagnosi

Non esiste un test che permetta di fare, in maniera incontrovertibile, la diagnosi di dermatite atopica. Si tratta di una diagnosi quindi “clinica”, che deve essere fatta dal medico in relazione alla presenza di alcuni elementi. L’elemento più importante per la diagnosi è la presenza del prurito: in altre parole se non è presente il prurito non c’è dermatite atopica. Ovviamente il prurito non è esclusivo di questa malattia, ma ci sono altre malattie cutanea dell’età pediatrica, persistenti nel tempo, che danno questo disturbo, come ad esempio la scabbia o l’allergia alle punture di zanzare (“strofulo”). Il prurito pertanto, pur essendo l’elemento essenziale, non è sufficiente, da solo, a permettere la diagnosi. Altri elementi sono quindi utili per permettere la diagnosi. Essi sono (cosiddetti “criteri maggiori di Hanifin e Rajka”)

– la presenza di familiari con malattie allergiche,
– la localizzazione delle lesioni,
– l’andamento cronico della malattia.

Su questi punti vanno tuttavia spese alcune parole. Per familiarità per allergie si deve intendere la stretta familiarità, cioè la presenza di malattie allergiche in genitori e fratelli, e la presenza di malattie allergiche certe, cioè scientificamente accertate. Capita di osservare spesso, invece, che venga data importanza, da genitori e anche da medici, alla presenza di malattie allergiche anche in zii, nonni, cugini etc. Orbene, visto che le malattie allergiche interessano ormai quasi il 40% della popolazione generale, è quasi impossibile che un bambino non abbia tra propri parenti più di una persona che soffre di allergie. Valutando la familiarità in maniera così estensiva questo criterio, nella dermatite atopica ma in genere in tutte le malattie allergiche, perde ovviamente di significatività. Inoltre, come detto la malattia allergica deve essere certa. In altre parole nei genitori o nei fratelli del bambino in esame va ricercata e valorizzata la presenza di malattie squisitamente allergiche, come la dermatite atopica stessa, la rinite allergica, l’asma, l’orticaria allergica vera, e di queste malattie l’origine allergica deve essere stata accertata con gli usuali test. Tutto ciò per evitare che bambini con banali e non specifiche lesioni cutanee, con la sfortuna di avere qualche zio o cugino con vaghe allergie o intolleranze, venga immediatamente sospettato, come purtroppo spesso accade, di essere un bambino allergico e trattato e maltrattato (vedi diete più o meno restrittive) in maniera impropria.
E il piccolo lattante presenta spesso, purtroppo, lesioni cutanee che ad una valutazione superficiale potrebbero essere considerate dermatite atopica e quindi, quasi automaticamente, allergia. Le malattie delle pelle che più frequentemente, nel lattante molto piccolo dei primi mesi di vita, vengono in tal modo scambiate per dermatite atopica, sono l’acne del neonato, la cheratosi pilare e la dermatite seborroica.
L’acne del neonato è una eruzione del volto del tutto simile all’acne della pubertà e come essa dovuta non ad allergie alimentari ma a fattori ormonali, cioè, nel caso specifico, ad ormoni che la madre ha trasmesso al feto prima del parto. Si tratta di lesioni rosse, leggermente rilevate, piccole, sormontate da puntini giallastri, purulenti, come l’acne giovanile, per l’appunto. Tali lesioni compaiono usualmente intorno al 25° giorno di vita e scompaiono, spontaneamente, intorno al 40°. Viene frequentemente interpretata come una manifestazione allergica e frequentemente il pediatra consiglia latti speciali o la sospensione della assunzione del latte da parte della madre che allatta. Ora, visto che, come detto, spontaneamente, nel giro di una quindicina di giorni la malattia scompare, i genitori e lo stesso pediatra possono essere indotti a pensare che sia stato il trattamento dietetico a far scomparire la malattia e quindi a rafforzarsi nella loro errata convinzione di trovarsi di fronte ad un bambino allergico.
Analogo discorso si può fare per la dermatite seborroica, la cosiddetta crosta lattea. Sono arrossamenti della pelle (chiazze “eritematose”) su cui sono localizzate come delle squame grasse, giallastre. Si localizzano soprattutto a livello del cuoio capelluto, della fronte, della regione fra le due sopracciglia. La crosta lattea non dà prurito e già questo è un elemento differenziale fondamentale. Inoltre la crosta lattea compare prima dei due-tre mesi e scompare a 3-4 mesi, mentre la dermatite atopica compare più tardivamente, dopo i 2-3 mesi, e tende a persistere nel tempo.
Come regola generale per evitare errori di interpretazione si può affermare che eccezionalmente la dermatite atopica, al contrario delle malattie che spesso vengono per essa scambiate, compare nei primi due mesi di vita e che quindi di fronte ad una eruzione cutanea in un bambino di questa età è opportuno pensare, in primis, che non si tratti di dermatite atopica e quindi astenersi dal sospettare allergie o intolleranze alimentari ed interferire sulla alimentazione normale della madre o del bambino.
Una terza “malattia”della pelle del lattante che spesso viene interpretata come dermatite atopica con tutte le conseguenze che ne conseguono è la cosiddetta “cheratosi pilare”. E’ una malattia ereditaria caratterizzata la puntini non arrossati a livello delle guance, della superficie laterale delle braccia, della superficie anteriore delle cosce. L’aspetto della pelle è quello della pelle “a raspa” o “a grattugia”. Usualmente queste lesioni puntiformi non sono arrossate ma talora per irritazioni varie possono avere un aspetto molto “infiammato”. Per quanto anch’essa sia spesso considerata una malattia “allergica” la cheratosi tale non è. E’ una condizione strettamente ereditaria: domandando si scopre quasi sempre che qualcosa di simile ha presentato nell’infanzia uno dei genitori. Può avere un qualche rapporto con la cosiddetta “atopia”, cioè la tendenza ereditaria alle malattie allergiche, e con la vera dermatite atopica, di cui rappresenta un cosiddetto segno “minore”, ma allergia non è e dermatite atopica nemmeno.
Per tornare a quelli che sono gli elementi fondamentali, i criteri maggiori, per la diagnosi, della localizzazione delle lesioni, specifica della malattia e specifica per le varie età, abbiamo detto dianzi.
L’ultimo elemento diagnostico principale è l’andamento cronico o meglio l’andamento cronico con remissioni e recidive. La persistenza nel tempo è un elemento differenziale con altre malattie cutanee più fugaci, come, per esempio, con l’altra malattia più propriamente “allergica” della pelle, cioè con l’orticaria. Tuttavia anch’essa non è un fatto assoluto; infatti la dermatite atopica presenta delle remissioni spontanee ed in particolare si riduce, fino a scomparire, nei mesi estivi.
Oltre ai cosiddetti segni maggiori può aiutare nell’inquadrare il bambino e nella diagnosi di dermatite tutta una serie di segni “minori” che appartengono all’abito costituzionale del bambino con eczema. Ad esempio, la secchezza della pelle (“xerosi”), il pallore, le occhiaie, la presenza di una pieghetta della pelle in più sulle palpebre inferiori (“doppia piega palpebrale di Dennie-Morgan”). Tutto l’insieme dà spesso al bambino un aspetto caratteristico, a volte riconoscibile a colpo d’occhio, che viene definito “facies atopica”. I segni minori sono molteplici ma alcuni di essi sono molto suggestivi come ad esempio la cosiddetta ragade all’impianto del padiglione auricolare, cioè una specie di taglio o di piccola piaga, con secrezione, all’attaccatura delle orecchie.

I test nella dermatite atopica

La DA, come detto, si riconosce praticamente, clinicamente, in base alla storia del bambino e dei suoi familiari stretti, alla presenza del prurito, alle caratteristiche delle lesioni. I test non sono determinanti né per la diagnosi della malattia né per la definizione della sua origine allergica, ma sono solo di supporto, per inquadrare più completamente il bambino. Essi dunque non sono necessari né per accertare la malattia né per deciderne il trattamento, alimentare o farmacologico o d’altro genere. In altre parole si può gestire il bambino con dermatite atopica senza eseguire esami o accertamenti, allergologici o meno.
Premesso quanto detto i test che possono essere eseguiti sono sia i test cutanei che i test sul sangue.
I test cutanei possono essere eseguiti con gli “estratti”, cioè con il materiale liquido fornito dalle ditte produttrici, sia per alimenti che per allergeni inalanti (sostanze responsabili di allergie che entrano nell’organismo attraverso le vie respiratorie): sono i cosiddetti prick test. Per gli alimenti è anche possibile utilizzare direttamente l’alimento fresco (latte, uovo etc.) pungendo la cute dopo aver immerso in esso l’aghetto (prick by prick).
Sulla cute possono essere eseguiti anche dei test particolari, chiamati atopy patch test, consistenti nell’applicazione sulla schiena di cerotti adesivi conformati in maniera tale da contenere alimenti (latte, uovo, farina di grano etc.) od inalanti (es. acari) e lasciati aderenti alla cute per 48 ore. Si tratta di una tecnica di diagnosi che, per quanto conforme a quello che è il meccanismo più proprio alla base della dermatite atopica, tuttavia non ha ancora quelle caratteristiche di standardizzazione e di affidabilità che ne possano permettere l’uso routinario.
Oltre a questi test, la cui esecuzione è affidata direttamente al pediatra allergologo, si possono eseguire, attraverso il prelievo di sangue, i cosiddetti RAST o similari, cioè la ricerca direttamente sul sangue di quei particolari anticorpi (IgE specifiche) che sono specificatamente responsabili delle cosiddette allergie di I° tipo nei confronti di alimenti ed inalanti.
I test tuttavia presentano molti limiti sia in rapporto alla specifica dermatite atopica sia in generale nella diagnosi delle allergie alimentari (vedi).
Da una parte il prick, il prick by prick, i RAST sono test che permettono solo di evidenziare, rispettivamente sulla pelle e nel sangue, quegli anticorpi particolari (le IgE appunto) che sono responsabili di un solo tipo di reazione allergica, il I° tipo, cioè quello delle reazioni immediate e talora gravi, come le reazioni anafilattiche, e il cui prototipo, nelle malattie della pelle è l’orticaria e non la dermatite. Quest’ultima è, viceversa, sostanzialmente legata ad un diverso meccanismo allergico che coinvolge soprattutto cellule e non anticorpi, la cosiddetta allergia cellulo-mediata o di IV tipo. Non può sorprendere pertanto il fatto che spesso tali test sono negativi. Proprio per questo fatto, cioè perché si tratta di un test proprio delle allergie cellulo-mediate, si è introdotto l’atopy patch test di cui abbiamo precedentemente parlato. Ma come detto i limiti del test sono ancora notevoli e manca una standardizzazione ufficiale per cui quasi ognuno usa metodiche diverse.
D’altra parte, come in genere sempre per la diagnosi di allergia alimentare, l’eventuale positività dei test cutanei o sanguigni, non significa necessariamente che quel determinato alimento sia responsabile della malattia. Si può avere l’esame positivo ma tollerare perfettamente l’alimento: la sensibilizzazione all’alimento non significa necessariamente allergia.
Riassumendo quindi il test negativo non esclude l’allergia, il test positivo non significa allergia. Per questo pertanto il test diagnostico non deve né essere ritenuto fondamentale per la diagnosi né deve essere esso a guidare la scelta dietetica o il trattamento farmacologico. Gli esami non sono indispensabili per curare la dermatite.
La prova fondamentale, qualora si sospetti che alla base della dermatite ci possa essere un’allergia agli alimenti, è la prova pratica, cioè l’eliminazione dell’alimento o degli alimenti sospetti (test di eliminazione), in genere latte e uovo e, talora il grano, indipendentemente dalle risultanze degli esami. Cioè si deve osservare se, con l’esclusione degli alimenti sospetti per un certo periodo di tempo (4-8 settimane), il bambino presenta un miglioramento sensibile del prurito e delle lesioni cutanee. Qualora ciò accada sarebbe indispensabile reintrodurre gli alimenti sospetti e valutare la ricomparsa eventuale dei sintomi (test di provocazione o challenge). Quest’ultima fase spesso non si esegue, anche perché è difficile convincere i genitori a reintrodurre un alimento la cui eliminazione ha determinato un così grande giovamento; in questi casi si prosegue direttamente con la dieta senza alimenti offendenti per periodi variabili a seconda dei casi.
Ovviamente, qualora la sospensione del latte, uovo o grano (raramente altro) dalla dieta non abbia comportato alcun miglioramento significativo è inutile continuare a tenere il bambino a dieta, magari soltanto perché un test sul sangue (come spesso avviene) è positivo, ma si deve prontamente prendere atto che, malgrado il test, l’alimento non è per quel bambino responsabile di malattia ed è pertanto del tutto inutile escluderlo.

La dermatite atopica è sempre un’allergia?

No, non sempre. I fattori responsabili della dermatite sono molteplici e l’allergia è solo uno di essi, non sempre presente. Dominante è in ogni caso il fattore costituzionale, ereditario. Costituzionalmente la pelle del soggetto atopico è una pelle secca (xerosi) con scarso contenuto idrico, facilmente irritabile, estremamente sensibile a fattori lesivi, infettivi, batterici e virali, fisici, chimici.
L’allergia alimentare è presente soprattutto nel bambino più piccolo ma è spesso assente nella dermatite che insorga nel bambino oltre i due anni di età. Inoltre anche il bambino molto piccolo, per il quale l’allergia al latte e all’uovo sia un fattore importante, crescendo tende a diventare tollerante e l’allergia alimentare, anche se c’è stata, tende a non esserci più.
In altre parole se è vero che la dermatite atopica è la più frequente manifestazione di allergia agli alimenti nel primo anno di vita è altrettanto vero che ciò non è valido in tutti i casi, che tale allergia normalmente si perde nel tempo e che, in ogni caso, la dermatite che insorge dopo i due anni di vita difficilmente è collegata all’allergia agli alimenti.
Inoltre nel bambino oltre l’anno di età appare più importante dell’allergia al latte e all’uovo l’allergia agli acari della polvere domestica, anche se i test specifici possono essere negativi. L’allergia all’acaro è molto importante nella dermatite, sia per quanto riguarda la sua insorgenza che il suo mantenersi nel tempo. L’allergia all’acaro inoltre è determinante nel condizionare il destino del bambino atopico il quale molto spesso diventa con il tempo asmatico e lo diventa proprio perché facilmente si sensibilizza agli acari. Per tali motivi per il bambino con dermatite devono essere seguite tutte quelle norme di igiene ambientale che permettono di ridurre la presenza di acari soprattutto nel materasso e nel cuscino del suo letto.
Infine un fattore non secondario, spesso responsabile di improvvise accentuazioni, è l’infezione della pelle dovuta ad un microbo chiamato stafilococco, il quale agisce sia direttamente infettando le lesioni dell’eczema, sia indirettamente attraverso delle sostanze che produce (esotossine).
In maniera molto schematica si può dire che esistono due forme diverse di dermatite atopica, in funzione dell’età della comparsa della malattia, le quali sono caratterizzate da una frequenza diversa delle allergie ad alimenti ed inalanti e da un diversa tendenza alla comparsa successiva dell’asma (vedi tabella).
La forma più frequente, la forma potremmo dire classica, è quella che compare sotto i due anni di vita e in cui è accertabile la presenza di allergie. Questi bambini tendono più facilmente a diventare asmatici nel tempo. Nella seconda forma, meno frequente, la comparsa della malattia è più tardiva, usualmente non c’è allergia ed usualmente questi bambini non tendono a diventare asmatici.

Come si cura?

E’ importante che i genitori siano consapevoli del fatto che la DA è una malattia ad andamento cronico, con remissioni più o meno marcate e con peggioramenti e che lo scopo della terapia non può essere la sua scomparsa ma il controllo di essa, la riduzione dei sintomi disturbanti, l’allungamento dei periodi di miglioramento. Raramente il trattamento medico è in grado di assicurare, e soltanto nel bambino molto piccolo, un miglioramento di tale entità da poter quasi apparire una guarigione definitiva. E’ importante quindi che i genitori siano informati di questo per evitare il senso di frustrazione e il migrare da uno specialista all’altro alla ricerca del “trattamento risolutivo”.
Altro concetto importante è che si tratta di una malattia legata a più fattori e quindi il trattamento deve svolgersi su più fronti: la cura della cute in generale, il trattamento delle lesioni, la profilassi antiacaro, il trattamento del prurito ed infine l’eventuale dieta per l’allergia alimentare.
La cura della pelle è fondamentale e tende a assicurare alla pelle stessa una adeguata idratazione ed a ricreare quella funzione di barriera che è persa nel bambino atopico. Per questo sono importanti i bagni con oli minerali e l’applicazione sistematica sulla pelle di creme emollienti. Sulle lesioni attive vanno applicate creme al cortisone. La fobia del cortisone e delle creme al cortisone è oggi del tutto non giustificata essendo disponibili farmaci di recente generazione con effetti collaterali praticamente inesistenti.
Sono disponibili, inoltre, da qualche tempo prodotti in unguento o in crema con funzioni immunodepressive, cioè in grado di controllare la reazione infiammatoria che è alla base delle lesioni eczematose. Tali prodotti hanno dimostrato una efficacia significativa e effetti collaterali molto scarsi.
Per il ruolo dell’acaro della polvere domestica nella comparsa, persistenza ed evoluzione verso l’asma della malattia è importante che vengano seguite regole e provvedimenti tendenti a ridurre il livello di acari nella camera dove vive il bambino. Fondamentale è in questo senso la cura dei materassi e dei cuscini che sono l’habitat naturale degli acari. Va sottolineato che non esistono materassi e cuscini antiallergici; anche i materassi in lattice in pochi mesi sono infestati abbondantemente da questi animaletti. Il provvedimento da adottare per i materassi e i cuscini, di qualsiasi materiale essi siano, è rivestirli di apposite fodere di tessuto tale che gli acari non possano superarle e quindi non possano, uscendo dai materassi e dai cuscini, raggiungere la forfora cutanea disseminata sulle lenzuola e coperte. La forfora è infatti il loro alimento e se l’acaro non mangia per 24 ore muore.
Per la cura del prurito, che come detto è il sintomo dominante e più disturbante, si usano abitualmente i cosiddetti antistaminici. Va premesso tuttavia che la miglior terapia del prurito, nel bambino con eczema, è il trattamento sistematico della pelle con oli e creme, anche, come detto, al cortisone. Inoltre l’effetto antiprurito degli antistaminici non è molto intenso; infatti il prurito del bambino con eczema è legato a meccanismi che solo in parte prevedono la partecipazione dell’istamina e che quindi possono essere bloccati dagli antistaminici. L’effetto antiprurito di questi farmaci appare legato in gran parte al loro effetto sedativo ed infatti sono più efficaci i vecchi antistaminici, abbandonati in altre terapia anche per la loro capacità di indurre sonnolenza.

La dieta: quando e come?

I pediatri tendono a considerare la DA sempre ed in ogni caso una malattia allergica e tendono a curare, in prima istanza, questa malattia con l’esclusione dalla alimentazione degli alimenti più allergizzanti per l’età cioè il latte e l’uovo. D’altra parte i dermatologi hanno un atteggiamento diverso e, nella gran parte dei casi, tendono a considerare la malattia come una malattia essenzialmente costituzionale e limitano il loro intervento alla cura della cute ad al trattamento del prurito. In realtà l’approccio alla malattia dovrebbe essere multidisciplinare o, in ogni caso, il medico dovrebbe tener sempre pressente che, come detto, nella origine della malattia concorrono variamente più fattori.
L’allergia alimentare non sempre è presente e gli esami di laboratorio ed i test sulla cute, per i motivi che abbiamo precedentemente detto, non sono sempre di aiuto per decidere se e quando iniziare un trattamento dietetico. E’ ovvio, naturalmente, che un test fortemente positivo per un certo alimento potrà avere una sua significatività, ma la positività in sé, soprattutto per livelli non elevati, e la negatività in sè non permettono di confermare o di escludere che gli alimenti abbiano un ruolo nella malattia.
Non sono dunque i test a determinare se è necessario mettere a dieta il bambino anzi molti ritengono che per gestire il bambino eczematoso il ricorso agli esami sia del tutto inutile. In linea generale il sospetto che in un certo bambino l’allergia alimentare, al latte ed all’uovo in particolare, possa avere un ruolo può essere indotto da una serie di considerazioni:

– l’età del bambino. Tanto più piccolo è il bambino tanto più frequentemente l’allergia alimentare è importante. Nel primo anno di vita, come detto, la dermatite atopica è la manifestazione più frequente di allergia alimentare; dopo l’anno spesso l’allergia alimentare, anche qualora sia stata presente è scomparsa; nella dermatite atopica comparsa dopo i due anni l’allergia alimentare statisticamente è poco presente.
– la coesistenza di altre manifestazioni di allergia alimentare come una diarrea protratta, lo scarso accrescimento, il respiro sibilante persistente.
– una forte familiarità per malattie allergiche.
– la scarsa risposta al trattamento locale con oli, bagni, creme, adeguatamente condotto.

Tutta una serie di considerazioni possono dunque indurre ad ipotizzare la presenza di allergia alimentare nel bambino eczematoso ed in questo caso è legittimo procedere al test definitivo, l’unico test significativo per accertare l’allergia alimentare: il cosiddetto test di eliminazione. Tale test consiste, usualmente, nella sospensione di latte e derivati e degli alimenti della famiglia dell’uovo per un periodo di 1-2 mesi. Se il bambino è allattato al seno si consiglia alla madre di astenersi dagli stessi alimenti. In caso di allattamento innaturale si utilizzano latti dietetici, speciali, come il latte di soia, i latti idrolizzati spinti, i latti elementari. I risultati della dieta vanno valutati nel periodo di 1-2 mesi e se con la dieta si assiste ad un netto miglioramento si dovrebbe procedere alla controprova, cioè si dovrebbero reintrodurre gli alimenti esclusi e valutare la ricomparsa dei sintomi originali. Qualora queste operazioni dimostrassero l’allergia alimentare il bambino deve essere mantenuto a dieta di esclusione per 6-12 mesi e poi si dovrebbe rivalutare periodicamente si l’allergia persiste o se, nel frattempo, il bambino ha riacquisito la tolleranza.
La tolleranza si riacquisisce di solito prima che le prove allergiche e gli esami del sangue eventualmente positivi diventino negativi per cui anche per decidere se e quando il bambino può riassumere il latte vaccino e l’uovo non ci si deve regolare sui risultati degli esami ma su criteri pratici. I test allergologici dunque non sono determinanti nemmeno per stabilire quando l’allergia alimentare è finita.
E’ ovvio infine che se il bambino per il quale si sospetta un’allergia alimentare non presenta miglioramenti significativi quando viene posto a dieta senza gli alimenti sospetti la dieta stessa non va mantenuta solo perché i test, il cui significato abbiamo chiarito, sono positivi. La dieta non deve essere mai protratta di fronte all’evidenza del suo fallimento.

Errori comuni

1. Non tutte le malattie cutanee pruriginose sono dermatite atopica (altre malattie cutanee intensamente pruriginose sono, ad es., la scabbia, l’orticaria papulosa o strofulo, la dermatite erpetiforme);2. Considerare dermatite atopica (e mettere per questo a dieta senza proteine del latte la madre e il neonato) la crisi ormonale (acne neonatorum) della 3°-6° settimana. Le lesioni sono puntiformi e tipicamente analoghe a quelle dell’acne puberale;
3. Considerare dermatite atopica la cheratosi pilare. Le lesioni sono puntiformi e localizzate alle guance, alle superfici deltoidee, alla superficie anteriore delle cosce;
4. Considerare la dermatite atopica sempre e in ogni caso una allergia alimentare. L’allergia agli alimenti può essere un fattore importante, ma non sempre è presente e non sempre è l’unico fattore;
5. Considerare la dieta l’unico strumento terapeutico: la dieta non è l’unica terapia ma deve affiancare la terapia locale e quella generale, nonché le norme d’igiene cutanea e ambientale;
6. Trattare con dieta tutti i casi di dermatite anche i più lievi che si gioverebbero della sola terapia medica;
7. Trattare con la dieta la dermatite esordita tardivamente, quando l’allergia alimentare, qualora sia stata presente, è ormai scomparsa;
8. Protrarre la dieta oltre l’evidenza dell’insuccesso;
9. Usare come unici dati di riferimento i prick e i RAST. Paradossalmente la gestione del bambino con dermatite atopica si potrebbe fare anche senza eseguire test allergologici.

Norme igienico-ambientali nella dermatite atopica

Camera del bambino, igiene personale, abbigliamento.La camera del bambino
E’ dimostrato che gli acari della polvere domestica, (micro-organismi invisibili ad occhio nudo presenti nella polvere di quasi tutte le case), possono essere responsabili, in parte più o meno accentuata, dell’insorgenza, mantenimento ed evoluzione verso l’asma della dermatite atopica; una particolare attenzione, pertanto, va posta all’ambiente in cui il bambino trascorre buona parte della giornata: la sua cameretta.
Seguire perciò le norme di profilassi antipolvere e antiacari con particolare attenzione al materasso e al cuscino. Non è importante acquistare un materasso o un cuscino particolare (non esistono materassi e cuscini “antiallergici”), importante è usare fodere particolari che impediscono agli acari di nutrirsi e di sopravvivere.

L’igiene personale
Non usare i comuni saponi neutri e i bagno-schiuma, soprattutto quelli profumati e molto schiumogeni che possono irritare la pelle e far aumentare il prurito. Utilizzare invece detergenti a base di oli minerali.
Fare ogni giorno un bagno emolliente con oli da bagno (es. BALNEUM HERMAL FORTE, OLEATUM BAGNO, TRIXERA BAGNO EMOLLIENTE), ad una temperatura non troppo elevata (32°-33°C al massimo), per ammorbidire la pelle, lenire l’arrossamento e diminuire la secchezza cutanea. Il bagno deve essere con acqua tiepida e breve, oppure si può praticare la detersione senza immersione. Il bagno troppo lungo o con acqua eccessivamente calda può essere irritante e scatenare il prurito. Dopo il bagno asciugare bene il bambino, tamponando con una salvietta, senza strofinare la cute; in seguito applicare sul corpo un emolliente (es. XERAMANCE CREMA, VASELINA BIANCA o CETAFIL LATTE, TRIXERA CREMA).
Evitare pomate a base di proteine del latte o d’altre proteine (per es. grano, avena), specie se presenti in elevata concentrazione.
Applicare regolarmente durante la giornata una crema emolliente, idratante e nutriente.
Tagliare regolarmente le unghie del bambino e tenerle pulite al fine di evitare qualsiasi sovrainfezione batterica conseguente a lesioni da grattamento.

L’abbigliamento
Non coprire troppo il bambino per evitare eccessiva sudorazione che fa aumentare il prurito.
Usare indumenti di cotone o di lino non colorati a contatto con la pelle: è quindi consigliato far indossare indumenti intimi di cotone bianco.
Non usare cuffie, sciarpe, guanti e canottiere di lana, ed altri indumenti di lana o di tessuto sintetico (tipo poliestere) che, essendo ruvidi ed irritanti, accentuano il prurito. Attenzione anche, quando si prende in braccio il bambino, a non strofinarlo contro il maglione che s’indossa. Nei lattanti è bene evitare mutandine di plastica ed è consigliato di cambiare spesso il pannolino.
Per il lavaggio della biancheria usare sapone di Marsiglia o similari e risciacquare con molta cura, possibilmente con la lavatrice, dopo il lavaggio gli indumenti per evitare la permanenza di residui di detersivi nei tessuti. Evitare l’uso di detersivi biologici ed ammorbidenti per tessuti.
Usare acqua a basso contenuto di calcare (è utile un depuratore, anche di costo non elevato).
In casa è bene indossare abiti comodi, leggeri, lisci; mantenere la temperatura ambientale intorno ai 18-19 gradi per evitare il surriscaldamento che aumenta la sudorazione e quindi irritazione e prurito.
Evitare scarpe di gomma e calzature chiuse come gli stivali.

E infine…
– Evitare il contatto diretto con animali domestici (gatti, cani, uccelli, criceti o piccoli roditori).
– Evitare il contatto con persone affette da Herpes Simplex.
– E’ bene evitare il contatto della pelle con alimenti irritanti come agrumi, pomodoro ecc…; nel caso in cui è dimostrata un’allergia alimentare, la dieta consigliata va seguita scrupolosamente.
– Non fumare alla presenza del bambino.
– Favorire l’esposizione al sole e i soggiorni in clima marino.
– Il bambino può fare bagni in piscina o in mare; prima del bagno applicare una crema idratante. Dopo il bagno risciacquarlo con acqua dolce ed applicare nuovamente la crema idratante per attenuare l’effetto aggressivo dell’acqua di piscina o dell’acqua di mare.
– Lenire il prurito, se molto intenso, con un antistaminico ad effetto sedativo fino alla scomparsa del sintomo.