Come si manifesta

Le allergie agli alimenti sono nell’età pediatrica più frequenti di quanto esse siano nell’adulto. Sono particolarmente presenti nel bambino molto piccolo, del primo anno di vita, per poi diminuire gradualmente con l’età. Per esempio l’allergia al latte di mucca, la più frequente delle allergie alimentari, scompare nella metà dei casi dopo un anno dalla diagnosi e dopo i tre anni l’80% dei bambini che avevano avuto allergia al latte acquisiscono la tolleranza, anche se, a volte, i test cutanei o sul sangue permangono positivi. Tendono invece a persistere negli anni l’allergia alle arachidi e al pesce.I sintomi con cui si manifesta l’allergia alimentare sono molteplici e possono interessare vari apparati: la cute, l’apparato respiratorio, l’apparato gastrointestinale, il sistema nervoso, l’apparato cardiocircolatorio. Per tale motivo si usa definire l’allergia agli alimenti “la grande trasformista”.
Delle molte malattie che possono essere associate ad allergia ad alimenti alcune sono sicuramente correlabili a tale allergia, per altre il ruolo dell’allergia alimentare nella loro origine è dubbio e talora improbabile, in ogni caso non scientificamente provato.
Così per quanto si sia discusso, e talora ancora si discuta, sul ruolo degli alimenti nell’origine di alcune malattie come l’emicrania, la sindrome del bambino iperattivo con disturbi dell’attenzione, l’otite media catarrale, non è scientificamente accertato che essi ne siano la causa.
Viceversa certo è il ruolo degli alimenti in alcune forme di orticaria (ma non in tutte!), in alcune forme di dermatite atopica (ma non in tutte!), in molti casi di asma, rinite, tosse persistente, diarrea cronica, scarso accrescimento, colte con emissione di sangue nelle feci. Infine pur non essendo sempre e in ogni caso legato all’allergia agli alimenti tale allergia è nell’età pediatrica la causa più frequente di quello che in genere viene chiamato shock anafilattico ma che sarebbe più proprio definire semplicemente anafilassi o reazione anafilattica perché lo shock, cioè la partecipazione dell’apparato cardiocircolatorio alla crisi, non è necessariamente sempre presente. La causa più frequente di anafilassi nel bambino sono quindi gli alimenti ed in particolare l’alimento più frequentemente responsabile ne è il pesce. Frequente anche l’anafilassi da latte, uovo, arachidi.

Come si fa la diagnosi

E’ questo un argomento molto importante. La diagnosi di allergia alimentare non è facile e richiede delle competenze specifiche per evitare che, come spesso avviene, bambini vengano etichettati come allergici pur non essendolo o viceversa l’allergia venga esclusa sulla base soltanto di test negativi.Vanno tenuti presenti due concetti fondamentali:
1. I test di laboratorio (RAST) ed i test cutanei (Prick) si basano sul reperimento, nel sangue o sulla pelle, di un particolare tipo di anticorpo (le cosiddette IgE specifiche) che possono essere responsabili delle reazioni allergiche cosiddette di I tipo o, appunto, IgE mediate;
2. Avere nel sangue e sulla pelle queste IgE specifiche (cioè essere sensibilizzati ad un alimento) non significa necessariamente che all’assunzione di quel certo alimento si verifichi la reazione allergica. In altre parole la sensibilizzazione non significa necessariamente allergia.

Le conseguenze di questi due concetti, come detto fondamentali, sono molteplici:
A. Un test negativo, prick o RAST che sia, non esclude quel tipo di allergia non legata alle IgE specifiche. In altre parole i test negativi non escludono la cosiddetta allergia cellulo-mediata, ritardata, spesso di interesse gastrointestinale. Scendendo ancor più nel dettaglio se un bambino, per esempio, non ha RAST positivi o prick positivi per il latte ciò non significata che la sua diarrea persistente, il suo scarso accrescimento, il suo vomito abituale, la sua dermatite atopica non siano dovute all’assunzione di questo alimento. E’ pertanto non utile ed errato in questi casi far dipendere la diagnosi e la conseguente dieta senza latte e derivati dai risultati dei test. Quello che è determinante, in questi casi è la prova pratica: cioè praticamente si sospendono latte e suoi derivati dalla alimentazione usuale del bambino e si osserva se i sintomi che hanno indotto il sospetto migliorano o scompaiono (test di eliminazione).
B. Un test positivo, prick o RAST che sia, per un certo alimento non significa che quel bambino abbia vere autentiche reazioni a quell’alimento. Si osserva spesso, nella pratica quotidiana, che a bambini che hanno sempre assunto, senza veri disturbi, alimenti come il latte o l’uovo o il grano o il pomodoro o quant’altro, venga imposta la sospensione di questi stessi alimenti perché, spesso per motivazioni del tutto fantasiose, sono stati eseguiti dei test allergici che sono poi risultati positivi. La positività non significa necessariamente allergia.
Esistono per i vari alimenti diversi “valori predittivi positivi” (VPP), cioè diverse probabilità statistiche che ad un test positivo corrisponda una autentica reazione avversa all’assunzione degli alimenti. Questo VPP è maggiore ad esempio per le arachidi ma molto basso, ad esempio, per il grano. Ciò significa che se un bambino ha un test positivo per il grano è più probabile che in realtà quel bambino il grano lo possa assumere tranquillamente senza problemi piuttosto che gli faccia, in qualche modo, male. E’ sempre necessario, pertanto, in questi casi, prima di definire il bambino allergico al grano e tormentarlo con diete inutili, eseguire delle prove pratiche valutando il miglioramento dei disturbi con la sospensione dell’alimento e la loro successiva ricomparsa alla sua risomministazione (test di eliminazione e test di tolleranza o provocazione o challenge). Per il latte il valore predittivo positivo è inferiore al 50%: in altre parole meno della metà dei bambini con RAST o test cutanei positivi per il latte ha una autentica non tolleranza all’assunzione dell’alimento.

Sono utili i “test allergici”?

Se un test negativo non esclude la presenza di allergia ed un test positivo non significa necessariamente allergia è dunque inutile eseguire test allergologici per gli alimenti?No, non è inutile. Bisogna naturalmente conoscerne il significato e i limiti. Non bisogna affidarsi completamente ad essi per la gestione del bambino. Non si deve curare il test ma la allergia: il test è e deve essere considerato un supporto, un aiuto diagnostico con significatività diversa a seconda della storia clinica del bambino, dei sintomi che presenta, di quanto intensa sia la positività di esso.
La storia medica (anamnesi) del bambino, sia familiare che personale è fondamentale. In base ad essa nasce il sospetto diagnostico. Tale sospetto diagnostico deve essere sostenuto da competenze specifiche che permettano di ipotizzare o meno il movente allergico di determinati sintomi. Il medico deve sapere, ad esempio, che è molto improbabile che una diarrea persistente o uno scarso accrescimento in un bambino che abbia superato i due anni possa essere dovuto ad allergia alimentare, al latte in particolare, così come deve sapere che non tutte le eruzioni cutanee che il bambino presenta sono dovute ad “allergia” ma che sostanzialmente solo l’orticaria e la dermatite atopica, che hanno quadri clinici molto caratteristici, possono, ma non sempre è così, essere dovute all’allergia agli alimenti. Viceversa è estremamente frequente vedere bambini alimentati in maniera sempre più restrittiva per malattie della pelle le più diverse e del tutto lontane da quelle due malattie.
Una volta che il medico competente abbia considerato compatibile con una condizione di allergia alimentare i sintomi che il bambino presenta è giustificato che esegua o faccia eseguire dei test, ma è doveroso che nella loro interpretazione consideri i limiti di essi e soprattutto sia dotato di buonsenso. Ovviamente è tanto più probabile che il test esprima una vera allergia quanto maggiormente positivo è il risultato e viceversa. I valori di RAST < 3,5 kU/l o una modesta positività (es +) al test cutaneo più difficilmente sono predittivi di una vera allergia; viceversa tanto più elevati saranno i valori tanto più facilmente i bambini saranno veramente allergici all’alimento. Sono stati da vari studiosi della materia messi a punto dei valori soglia dei test per il latte, l’uovo, il grano, il pesce, al di sopra dei quali c’è praticamente la certezza che quell’alimento sia nocivo al bambino.
D’altra parte in malattie come la dermatite atopica, lo scarso accrescimento, la diarrea, l’asma il medico deve sapere che il test negativo non esclude l’allergia al latte od ad altro alimento potendo, esse, essere legate ad un meccanismo che non prevede l’intervento delle IgE specifiche. In questi casi pertanto saranno altri parametri, l’età del bambino (fattore essenziale!) la familiarità, la coesistenza di altri sintomi, la mancata risposta ad un adeguato trattamento, a far pensare che l’alimento possa essere importante.
Per tutti questi motivi, in ogni caso, va sottolineato che il vero test per la diagnosi di allergia alimentare nel bambino, siano positivi o no gli esami del sangue e le prove cutanee, è il test di eliminazione dell’alimento per uno o due mesi e la sua successiva reintroduzione. Si potrà allora valutare se veramente quel dato disturbo era legato a quel certo alimento attraverso la sua scomparsa prima e la sua ricomparsa dopo, al momento in cui l’alimento viene reintrodotto.

Cosa fare quando si è allergici ai pollini

Che cosa sono i pollini?
Il polline è il seme maschile dei fiori. E’ costituito da piccoli grani di forma diversa a seconda delle specie vegetali, invisibili ad occhio nudo.
Tra le famiglie vegetali implicate nell’allergia al polline (detta anche pollinosi) vi sono in primo luogo le graminacee (erba mazzolina, gramigna, logliarello), gli alberi come le oleacee (olivo, frassino), le betulacee (betulla, ontano), le corylacee (nocciolo, carpini), le cupressacee (cipressi) e le piante erbacee come le urticacee (parietaria) e le composite (assenzio, ambrosia).
La pollinosi si produce nelle persone allergiche quando la concentrazione del polline nell’aria raggiunge una determinata soglia.
Gli alberi producono polline da gennaio a maggio, le graminacee da aprile a fine luglio e le erbacee da marzo ad ottobre.
Le stesse piante in montagna (ad altitudini di 600-1000 metri) emettono i pollini un mese più tardi rispetto alla pianura: attenzione quindi alla scelta della data delle vacanze.Che cosa si deve fare quando si è allergici ai pollini?
a. Seguire attentamente le istruzioni del medico sull’uso dei farmaci antiallergici;
b. Conoscere le piante che liberano i pollini causa della propria allergia e il calendario di pollinazione.
Ovviamente è impossibile evitare qualunque contatto con il polline. E’ però possibile limitarne i danni durante la stagione pollinica:
– Chiudere i vetri quando si va in automobile; non andare in bicicletta o in motorino;
– Evitare campeggi e picnic;
– Andare in vacanza in località marine, che sono meno ricche di pollini;
– Al calare del giorno la densità pollinica è massima ed occorre chiudere dunque le finestre;
– Evitare la campagna ed i luoghi in cui l’erba è stata tagliata di recente.
Le condizioni del tempo influiscono sulla concentrazione dei pollini nell’aria: quest’ultima aumenta nelle giornate ventose, ma anche quando vi è un clima caldo (25 –30 °C) e con un’umidità relativa del 60-90%. Per tale motivo, in queste condizioni climatiche, ridurre al massimo il tempo trascorso all’aperto.
I pollinosici, inoltre, debbono fare la doccia la sera al rientro in casa.
Salvo rare eccezioni le persone allergiche possono coltivare o tenere in casa i fiori senza pericolo poiché i pollini dei fiori colorati e odorosi si propagano pochissimo nell’atmosfera.
Il miele può contenere allergene di polline al quale una persona allergica può reagire.

Ricordare infine che esiste un’allergia crociata tra pollini ed alcuni alimenti. Tra le associazioni meglio conosciute vi sono:
– artemisia e sedano;
– betulla e mela, ma anche pesca, albicocca, carota e sedano;
– ambrosia e melone e banana;
– graminacee e pomodoro e, in misura minore, arachidi.

Che cosa si deve fare quando si è allergici agli animali?

Quali sono gli animali che possono far venire un’allergia?

Praticamente qualsiasi animale col pelo può provocare una reazione allergica.

Gli animali che stanno più a contatto con l’uomo sono anche quelli più spesso responsabili dell’allergia. I gatti sono molto più allergizzanti dei cani.

Essere allergico a un animale implica essere allergico a tutti gli animali?

No, in linea di massima. Tuttavia chi già presenta un’allergia ha un rischio maggiore di svilupparne un’altra. Chi è allergico al gatto è in genere allergico a tutte le relative razze (europeo, siamese, angora ecc.) ed ad altri felini (tigri, leoni ecc.)

In quali occasioni si manifestano i sintomi dell’allergia agli animali?

Solitamente quando vi è un contatto diretto con l’animale, ma possono manifestarsi anche in modo indiretto se si soggiorna in luoghi dove l’animale vive. Può manifestare sintomi di allergia anche il bambino che non ha il gatto in casa. Importanti in questi casi sono spesso i compagni di scuola che posseggono gatti e che trasportano i derivati epidermici sui vestiti e sui maglioni. I sintomi si manifestano generalmente dopo settimane o mesi dall’inizio dell’esposizione al contatto con l’animale (più frequenti e intensi sono i contatti, più veloce è l’instaurarsi dell’allergia). Dopo l’allontanamento dell’animale responsabile dell’allergia i sintomi possono persistere ancora per mesi.

Che cosa si deve fare quando il bambino è allrgico agli animali?

In presenza di sintomi clinici significativi:

  • Il gatto va lavato ogni settimana in abbondante acqua (almeno trenta litri) con particolare attenzione alle regioni delle orecchie.
  • Se questo non è possibile e l’animale vive in casa, esso va assolutamente allontanato e va fatta una pulizia a fondo della casa eliminando dall’ambiente tutto quello che può trattenere il pelo di gatto (tappeti, moquette ecc.).
  • Usare frequentemente l’aspirapolvere. Utilizzare un filtro d’aria di comprovata efficacia. Utile l’impiego di un depuratore d’aria sia in sala da pranzo che in camera da letto.
  • Se l’animale non vive in casa, state attenti a non far frequentare al bambino case che ospitano quel tipo di animale. Ricordate che i possessori di animali domestici sono molto numerosi (in Italia il 30-40% delle famiglie possiede un cane e/o un gatto!).
  • Attenti ai compagni di scuola che posseggono gatti. I bambini sani possessori di un gatto, se vanno a scuola con un bambino allergico al gatto, debbono indossare a scuola maglioni diversi da quelli che portano a casa. I maglioni dei compagni di scuola devono essere perfettamente lavati. Nei lavaggi a secco gli abiti si possono contaminare per contatto con gli abiti dei possessori di gatti.
  • Le manovre di profilassi ambientale per gli acari vanno attuate anche in caso d’allergia ai derivati epidermici di gatto; nel materasso, infatti, l’allergene del gatto può persistere per 10 anni. Tali misure sono valide solo, però, se in casa non c’è nessun gatto.
  •  La pulitura con Allerpet, che denaturerebbe le proteine dell’epitelio di gatto, non avrebbe effetti del tutto sicuri, almeno stando a studi effettuati.
  • Misure analoghe nei confronti dei cani vanno prese in caso di allergia a quest’animale.
  • Tenere presente che anche gli animali a pelo corto e quelli che non perdono pelo provocano l’allergia giacché le sostanze allergizzanti non sono soltanto sul pelo ma anche nella forfora o nella saliva.

Allergia al gatto

Vari animali domestici sono in grado di dare allergia, ma in particolare il gatto ed il cane.

Animali

Sorgenti allergeniche

Gatto

Saliva, cute, pelo (urine)

Cane

Pelo, saliva

Ratto

Urine

Possono sensibilizzare anche la cavia, il topo, il cavallo e il maiale

Il pelo e la forfora del gatto sono fortemente allergizzanti. Il pelo di gatto è il più potente allergene respiratorio così come l’uovo è il più potente fra gli alimenti.

L’allergene (il materiale organico più strettamente responsabile dell’allergia) principale del gatto viene prodotto dalle ghiandole sebacee e dalle cellule della cute  e si trova sulla cute, sul pelo e nella saliva del gatto (forse anche nelle urine e nelle lacrime); si accumula alla radice del pelo e  successivamente procede lungo il pelo fino alla punta da dove si disperde nell’ambiente. Le particelle si trovano sospese nell’ambiente e aderiscono alle pareti al contrario degli acari; sono piccole e per le loro dimensioni possono restare a lungo sospese nell’aria, anche 24 ore. Per le dimensioni ridotte ed il lungo periodo di sospensione le particelle  possono essere inalate profondamente, rapidamente e in dosi massicce nei bronchi e nei polmoni

Per questi motivi i sintomi possono essere intensi ed è possibile l’insorgenza di crisi asmatiche immediate nei soggetti sensibilizzati, non appena questi entrino in un ambiente ove sia presente un gatto. Per lo stesso motivo, cioè per il fatto che si tratta di allergeni molto volatili, l’allergia al gatto si associa sovente a sintomi di tipo oculo-rinitico.

L’allergia al gatto spesso tuttavia non scatena una crisi asmatica acuta ma può determinare uno stato di infiammazione persistente dei bronchi che poi, per effetto di vari e anche diversi fattori scatenanti (virus, sforzo fisico etc.), può essere responsabile di episodi acuti di asma.

Chi è allergico al gatto è in genere allergico a tutte le relative razze (europeo, siamese, angora ecc.) ed anche ad altri felini (leoni, tigri, giaguaro ecc.) per cui c’è il rischio, per il bambino sensibilizzato al gatto, di peggioramento nei circhi e negli zoo.

Negli scorsi anni si è notato ed è stato riportato anche sui giornali non medici che la presenza del gatto in casa potrebbe proteggere dall’asma; la forte esposizione al pelo di gatto nelle prime età della vita sembrerebbe proteggere dalla comparsa di allergie.

In altre parole, l’evitamento degli animali domestici è sicuramente importante nel soggetto già allergico con sintomi, mentre forse il fatto di evitare la presenza di animali domestici in casa potrebbe non essere utile ai fini di prevenire la comparsa delle malattie allergiche. Il gatto in casa, anzi, esplicherebbe un effetto protettivo, per lo meno nei primi anni di vita.

In realtà gli studi dai quali sono emerse queste conclusioni prestano il fianco a critiche riguardanti la conduzione delle indagini statistiche e la selezione dei campioni e secondo molti ulteriori studi appare chiaro  che l’esposizione ad animali domestici non ha effetto protettivo ma il rischio di asma aumenta nel bambino che è cresciuto a contatto con cani e gatti. Molti autori, dunque, concordano nel ritenere negativa l’esposizione del piccolo bambino a rischio di allergie ad animali domestici nelle prime età della vita e che il gatto sia da evitare come l’acaro, il fumo, le muffe.

Ci si può, tuttavia,  sensibilizzare al gatto anche senza averlo in casa anzi la maggior parte (55-75 %) degli allergici al gatto non possiede né ha mai posseduto un gatto.

Molto importante per diventare allergici al gatto è l’esposizione in ambienti comuni, a scuola in particolare, ma ci si può sensibilizzare anche in altre sedi come l’asilo nido, la scuola materna, palestre, tram, ospedali, ristoranti. In tutti questi ambienti possono essere presenti alti livelli di particelle allergeniche  trasportate sugli abiti e “seminate” dai possessori dei gatti.

L’allergene tende infatti ad accumularsi sui vestiti e in tal modo può essere trasportato a distanza; tende inoltre a rimanere molto a lungo nell’ambiente, anche mesi e anni dopo l’allontanamento dell’animale.

Nell’isola di Tristan da Cuhna, da dove i gatti furono eliminati molti anni fa per un’epidemia di toxoplasmosi, anche a distanza di molti anni molti abitanti, anche giovani e nati successivamente, son allergici al gatto.

Se un bambino è allergico al gatto le norme di profilassi non vanno attuate solo sul bambino e sulla sua abitazione; non solo il bambino non deve possedere il gatto ma a scuola i possessori dei gatti dovrebbero essere posti nei banchi più lontani e dovrebbero indossare maglioni diversi da quelli che indossano in casa. In casa questi maglioni andrebbero mantenuti in buste di plastica. Inoltre, poiché la concentrazione delle particelle del gatto (e anche del cane) è massima al centro dell’aula il bambino allergico andrebbe posto vicino alla porta e lontano dal centro.

L’allergico al gatto deve fare anche la profilassi ambientale antipolvere. E’ importante che le particelle allergeniche di gatto che eventualmente il bambino porta da scuola e che possono persistere nei tappeti e nei materassi anche per dieci anni vengano ridotte con l’uso con coprimaterassi e copricuscini. E’ importante, altresì, l’aerazione dell’ambiente interno perché la cattiva ventilazione facilità l’accumulo degli allergeni nelle case ed eliminare la moquette che rappresenta anch’essa un fattore di rischio.

Le facili diagnosi di allergia alimentare

Penso che il 60-70% almeno dei bambini considerati e trattati come allergici agli alimenti, in particolare al latte vaccino, in realtà non abbia alcuna malattia allergica. Praticamente tutti i giorni, nella pratica professionale, capita di vedere bambini a dieta senza latte e derivati, e spesso senza altri alimenti, a volte anche da anni, per motivazioni del tutto improprie. A volte basta una piccola eruzione cutanea, del tutto banale, per indurre la diagnosi di allergia al latte e per fare iniziare faticose (e costose) diete con latti speciali. Altre volte un test allergico sul sangue, magari eseguito per motivazioni del tutto non attinenti, costringe piccoli bambini che hanno sempre assunto, e senza problemi, degli alimenti a privarsene spesso per tempi lunghissimi. E ormai non sono solo i pediatri a diagnosticare l’allergia nei bambini. L’allergia alimentare è ormai una “moda” e sovente sono le amiche, i parenti, semplici conoscenti a sentirsi autorizzati ad affermare, con il tono di chi è assolutamente padrone della materia, “questo bambino è sicuramente allergico al latte!”. Talora queste persone hanno avuto esperienze personali in tal senso ma spesso, anche per i loro bambini, la diagnosi era stata malposta e affrettata. Conosco un collega otorino che pone sistematicamente diagnosi di allergia al latte, per quasi ogni problema che gli viene posto e per bambini di ogni età, soltanto per la secchezza della loro pelle (la cosiddetta xerosi cutanea). Leggi tutto “Le facili diagnosi di allergia alimentare”

Perché il pediatra

La gestione del bambino allergico è una competenza specifica del pediatra allergologo perché specifiche sono le patologie e specifico dell’età pediatrica è il loro trattamento dietetico o farmacologico. I piccoli bambini, ad esempio, hanno molto più frequentemente dell’adulto problemi di allergia alimentare; inoltre diversi rispetto agli adulti sono gli alimenti responsabili e i quadri morbosi ad essi correlati. Nei bambini l’allergia alimentare riguarda soprattutto il latte e l’uovo e i sintomi possono essere estremamente vari e riguardare vari apparati. Per tali ragioni la allergia alimentare è chiamata la “grande trasformista”. Nell’adulto viceversa la vera allergia alimentare, oltre ad essere meno frequente, riguarda soprattutto i vegetali in soggetti già allergici ai pollini e si manifesta prevalentemente con sintomi a carico della bocca e del palato. E’ ovvio, inoltre, che la gestione dietetica di un piccolo bambino allergico, ad esempio, al latte vaccino (latte artificiale, latte di centrale, latte di mucca fresco e tutti i derivati del latte di mucca) richiede competenze specifiche sia per quanto riguarda i cosiddetti latti alternativi sia nella strutturazione di schemi alimentari che consentano l’evitamento degli alimenti dannosi e permettano un adeguato apporto nutrizionale. Leggi tutto “Perché il pediatra”

Norme di profilassi antipolvere

Parlare di allergia alla polvere di casa non è corretto. La polvere di casa è infatti un ” minestrone ” fatto da tante cose (laniccio, derivati epidermici, polveri minerali, animali ecc) ma la vera componente allergizzante è rappresentata da un animaletto invisibile a occhio nudo chiamato scientificamente Dermatophagoides pteronyssinus o acaro della polvere di casa. Questo animaletto vive nutrendosi delle forfore umane. Si annida, perciò, principalmente nei posti dove sta più a contatto con l’uomo e dove può trovare una nicchia ecologica per vivere e moltiplicarsi. E’ chiaro quindi che tutto il materiale lettereccio (in particolare materassi e cuscini), ma anche poltrone e divani, sono la sede naturale, ideale per la sua crescita. Dal letto poi, specie se a molle, il dermatofagoide o i residui di esso sarà disperso e si diffonderà nella stanza da letto, sul pavimento, sopra i mobili, sulle cornici delle porte, sui lampadari ecc., ma in particolar modo sui materiali più adatti all’impolveramento come tappeti, tendaggi, libri, animali di peluche.
Da tutto questo è chiaro, quindi, che la tappa fondamentale (senza la quale tutto il resto ha scarsa o nulla importanza) sarà il trattamento (con i coprimaterassi e i copricuscini) del cuscino e del materasso, l’evitamento di imbottiture di lana, piume e materiali vegetali, l’allontanamento dalla stanza di eventuali poltrone, tappeti, tendaggi. Fatto questo (tolta cioè la fonte del dermatofagoide) le altre precauzioni e pulizie saranno, se non inutili, certamente di minore importanza.

ISTRUZIONI PRATICHE
1) Il materasso. Non esistono materassi e cuscini antiallergici. Che siano di polirene o di gommapiuma o di lattice o di qualunque altro materiale (lana, piume, crine) i materassi vanno ricoperti con coprimaterassi di stoffa molto fitta (tipo cinz) e il rivestimento deve avere la chiusura lampo perché va tolto e lavato ogni settimana. Fondamentale è pertanto l’uso dei coprimaterassi e dei copricuscini; non è importante il tipo di materasso ma è importante che venga avvolto con questi materiali.
Un’altra soluzione (anche migliore e meno costosa) è quella di chiudere il materasso vecchio in un sacco di plastica che dovrà essere sigillato con del nastro adesivo affinché la polvere non esca. Questa soluzione, pur essendo quella ideale, ha lo svantaggio di essere più scomoda. Infatti la plastica è rumorosa, traspira poco, fa sudare ed è scivolosa. Si può ovviare parzialmente a questi inconvenienti mettendo tra il sacco di plastica ed il lenzuolo un asciugamano che va ovviamente lavato con periodicità settimanale
.Esistono in commercio e sono facilmente reperibili e comodamente utilizzabili coprimaterassi e copricuscini anallergici.
I materassi vanno appoggiati o su una rete metallica o su una tavola di legno o faesite.
Non vanno bene le reti a molle rivestite di stoffa perché accumulano la polvere.

2) I cuscini sono pericolosi come i materassi e per le stesse ragioni dovrebbero essere avvolti da copricuscini.
NUMERO VERDE ALLERGY 800905511/12 (per ordinazione coprimaterasso e copricuscino)

3) Le coperte, specie se sono vecchie, si impregnano di polvere. Ancora peggio se le coperte sono vecchie imbottite. E’ perciò indispensabile usare coperte di cotone possibilmente nuove o almeno lavate spesso. Per il freddo vanno bene le coperte di lana sintetica (movil, leacril ecc.). I piumini e le piume in genere non devono esserci nella casa del bambino con allergia alla polvere, nemmeno nella stanza da letto dei genitori o nei cuscini del salotto. Le coperte vanno esposte molto spesso al sole, vanno passate con l’aspirapolvere o sbattute all’aperto.
4) Se nella stanza ci sono altri letti (fratelli ecc.) anche questi costituiscono fonte di inquinamento allergenico e quindi devono essere trattati e modificati nello stesso modo di quanto fatto per il bambino allergico.
5) Sul pavimento non ci devono essere tappeti. Solamente se il pavimento è molto freddo si potranno usare tappeti sintetici, da bagno, che dovranno essere messi in lavatrice ogni settimana. Se i pavimenti sono vecchi, fessurati e polverosi vanno lavati, cerati o coperti con vernice (synteko) in modo che non trattengano la polvere.
6) Quando si fanno le pulizie si solleva la polvere e occorre che il bambino sia lontano e che rientri dopo che la stanza è stata ben arieggiata. L’aspirapolvere va tenuto lontano dal bambino ed il suo sacco va lavato molto spesso o ancor meglio cambiato se l’aspirapolvere ha il sacco di carta. Per il resto delle pulizia o in alternativa all’aspirapolvere usare uno straccio umido.
7) I giocattoli di pelo trattengono la polvere: aspirarli ogni giorno o passarli con lo straccio e sbatterli o metterli in lavatrice. Ottimo anche metterli in congelatore per 24 ore. Meglio ancora sostituirli con altri giocattoli che non raccolgono la polvere. Togliere semplicemente tutti i giocattoli non è giusto verso il bambino.
8) Mensole, libri, giornali, oggetti inutili, si coprono spesso di polvere e vanno puliti o tolti o conservati al chiuso. Le soffitte sono interdette a questi bambini. E’ possibile che se un bambino allergico alla polvere va a dormire fuori casa (da parenti, in albergo ecc.) gli venga un accesso di asma se nella stanza non son state adottate tutte quelle misure antipolvere prima descritte
9) Gli animali a pelo come uccellini, cani, gatti, scoiattoli, criceti, topolini sono un pericolo per il bambino allergico. Anche se il bambino non è allergico verso l’animale al momento della visita, sarà molto facile che lo diventi un futuro. Perciò in ogni caso se a casa non ci sono non bisogna comprarne; se ci sono già sarà opportuno staccarsene.
Le forfore e gli epiteli animali vanno a far parte della polvere di casa e sarà successivamente molto difficile da eliminarli specie da poltrone, tappeti o da altri materiali della casa più adatti all’impolveramento. Si possono tenere tartarughe e altri rettili o pesci.
10) Deve essere ricordato e sottolineato che molti altri fattori possono concorrere ad aggravare i disturbi di un bambino allergico. Nell’ambiente dove il bambino vive dovremo cercare quindi di evitare i principali irritanti: soprattutto l’estremamente dannoso fumo di sigaretta, ma anche odori di vernice e colori, vapori di combustione di carbone e legna, odori intensi di fiori (viole, rose, lillà ecc.) profumi che si volatilizzano, cosmetici, deodoranti, odori di smacchiatori a secco, alberi di Natale (usare quelli sintetici).Non fumare in casa né in auto.
11) L’umidità relativa della camera del bambino deve essere tenuta al di sotto del 60%, in quanto l’acaro si moltiplica preferenzialmente a 22 °C e al 60% di umidità. Questo è evidentemente antitetico rispetto all’uso spesso consigliato dell’umidificatore che è controindicato per questi bambini; teoricamente la cosa migliore sarebbe far dormire il bambino con “la finestra aperta”.
L’uso di acaricidi (benzoil-benzoato, ACAROSAN) è considerato di discreta utilità: In particolare un accorgimento può essere quello di trattare il materasso prima di avvolgerlo nel coprimaterasso. E’ opportuno tuttavia usarli solo nei casi in cui divani, tappeti e moquette non possono essere rimossi.Debbono tuttavia essere usati più frequentemente di quanto consigliato dalle case produttrici: non due volte l’anno ma almeno ogni due mesi.

NOTE
Fondamentale è il trattamento del materasso e del cuscino. Le feci dell’acaro, che sono il materiale più strettamente allergizzante hanno un certo peso e non si sollevano che di pochi centimetri rispetto al piano sul quale sono depositate. Il materiale allergizzante si respira pertanto dormendoci sopra, nelle ore notturne.
Per quanto riguarda il lavaggio degli effetti letterecci (lenzuola) ricordarsi che con il lavaggio a temperature oltre 60°C tutti gli acari muoiono. Se non si vuole arrivare a queste temperature si possono utilizzare 5 ml di olio di eucaliptolo (si compra in erboristeria) aggiunto all’usuale detergente. Si fa poi il normale ammollo con acqua a 30° per 30- 60 minuti.