Come si fa la diagnosi

E’ questo un argomento molto importante. La diagnosi di allergia alimentare non è facile e richiede delle competenze specifiche per evitare che, come spesso avviene, bambini vengano etichettati come allergici pur non essendolo o viceversa l’allergia venga esclusa sulla base soltanto di test negativi.Vanno tenuti presenti due concetti fondamentali:
1. I test di laboratorio (RAST) ed i test cutanei (Prick) si basano sul reperimento, nel sangue o sulla pelle, di un particolare tipo di anticorpo (le cosiddette IgE specifiche) che possono essere responsabili delle reazioni allergiche cosiddette di I tipo o, appunto, IgE mediate;
2. Avere nel sangue e sulla pelle queste IgE specifiche (cioè essere sensibilizzati ad un alimento) non significa necessariamente che all’assunzione di quel certo alimento si verifichi la reazione allergica. In altre parole la sensibilizzazione non significa necessariamente allergia.

Le conseguenze di questi due concetti, come detto fondamentali, sono molteplici:
A. Un test negativo, prick o RAST che sia, non esclude quel tipo di allergia non legata alle IgE specifiche. In altre parole i test negativi non escludono la cosiddetta allergia cellulo-mediata, ritardata, spesso di interesse gastrointestinale. Scendendo ancor più nel dettaglio se un bambino, per esempio, non ha RAST positivi o prick positivi per il latte ciò non significata che la sua diarrea persistente, il suo scarso accrescimento, il suo vomito abituale, la sua dermatite atopica non siano dovute all’assunzione di questo alimento. E’ pertanto non utile ed errato in questi casi far dipendere la diagnosi e la conseguente dieta senza latte e derivati dai risultati dei test. Quello che è determinante, in questi casi è la prova pratica: cioè praticamente si sospendono latte e suoi derivati dalla alimentazione usuale del bambino e si osserva se i sintomi che hanno indotto il sospetto migliorano o scompaiono (test di eliminazione).
B. Un test positivo, prick o RAST che sia, per un certo alimento non significa che quel bambino abbia vere autentiche reazioni a quell’alimento. Si osserva spesso, nella pratica quotidiana, che a bambini che hanno sempre assunto, senza veri disturbi, alimenti come il latte o l’uovo o il grano o il pomodoro o quant’altro, venga imposta la sospensione di questi stessi alimenti perché, spesso per motivazioni del tutto fantasiose, sono stati eseguiti dei test allergici che sono poi risultati positivi. La positività non significa necessariamente allergia.
Esistono per i vari alimenti diversi “valori predittivi positivi” (VPP), cioè diverse probabilità statistiche che ad un test positivo corrisponda una autentica reazione avversa all’assunzione degli alimenti. Questo VPP è maggiore ad esempio per le arachidi ma molto basso, ad esempio, per il grano. Ciò significa che se un bambino ha un test positivo per il grano è più probabile che in realtà quel bambino il grano lo possa assumere tranquillamente senza problemi piuttosto che gli faccia, in qualche modo, male. E’ sempre necessario, pertanto, in questi casi, prima di definire il bambino allergico al grano e tormentarlo con diete inutili, eseguire delle prove pratiche valutando il miglioramento dei disturbi con la sospensione dell’alimento e la loro successiva ricomparsa alla sua risomministazione (test di eliminazione e test di tolleranza o provocazione o challenge). Per il latte il valore predittivo positivo è inferiore al 50%: in altre parole meno della metà dei bambini con RAST o test cutanei positivi per il latte ha una autentica non tolleranza all’assunzione dell’alimento.