L’allergia alimentare. Che cos’è

La definizione scientifica di allergia alimentare è quella di una “reazione avversa agli alimenti mediata da un meccanismo immunologico”. La differenza rispetto alle cosiddette intolleranze è che in queste ultime il meccanismo è diverso. Per esempio l’intolleranza al lattosio non è una allergia perchè responsabile di tale patologia, molto frequente nell’adulto e nel bambino più grandicello, è un difetto della digestione del lattosio, zucchero del latte, dovuto alla perdite, con l’età, delle sostanze (enzimi) che ne permettono la digestione.Meccanismo immunologico significa che l’alimento è in grado di determinare nell’organismo (si tratta in genere di persone con una predisposizione genetica) una serie di processi (produzione di particolari anticorpi, attivazione di cellule particolari etc.) che poi esitano in una reazione di vario tipo. A seconda del tipo di meccanismo responsabile le reazioni potranno essere immediate, anche pericolose, come ad esempio lo shock anafilattico (meccanismo di tipo I o reazioni IgE mediato) o lente, ritardate, meno violente, come ad esempio molte malattie gastrointestinali (meccanismo di tipo IV o reazioni cellulo-mediate).
Nell’età pediatrica sono importanti ambedue i tipi di reazioni: le prime, ovviamente, perché potenzialmente pericolose anche per la vita e pertanto necessitanti di molteplici particolari attenzioni, le seconde perché rappresentano una larga fetta delle problematiche allergologiche del lattante (diarrea persistente, modesto accrescimento, insonnia, stipsi, coliche, reflusso gastroesofageo, in parte la dermatite atopica) e, come si vedrà in seguito, non permettono di avvalersi di test per la diagnosi di laboratorio e strumentale. Unica eccezione è l’intolleranza al glutine o celiachia, allergia cellulo-mediata, che prevede la possibilità di una diagnosi di laboratorio attraverso la determinazione nel siero dei pazienti di autoanticorpi particolari (antitransglutaminasi, antiendomisio, antigliadina).

Come si manifesta

Le allergie agli alimenti sono nell’età pediatrica più frequenti di quanto esse siano nell’adulto. Sono particolarmente presenti nel bambino molto piccolo, del primo anno di vita, per poi diminuire gradualmente con l’età. Per esempio l’allergia al latte di mucca, la più frequente delle allergie alimentari, scompare nella metà dei casi dopo un anno dalla diagnosi e dopo i tre anni l’80% dei bambini che avevano avuto allergia al latte acquisiscono la tolleranza, anche se, a volte, i test cutanei o sul sangue permangono positivi. Tendono invece a persistere negli anni l’allergia alle arachidi e al pesce.I sintomi con cui si manifesta l’allergia alimentare sono molteplici e possono interessare vari apparati: la cute, l’apparato respiratorio, l’apparato gastrointestinale, il sistema nervoso, l’apparato cardiocircolatorio. Per tale motivo si usa definire l’allergia agli alimenti “la grande trasformista”.
Delle molte malattie che possono essere associate ad allergia ad alimenti alcune sono sicuramente correlabili a tale allergia, per altre il ruolo dell’allergia alimentare nella loro origine è dubbio e talora improbabile, in ogni caso non scientificamente provato.
Così per quanto si sia discusso, e talora ancora si discuta, sul ruolo degli alimenti nell’origine di alcune malattie come l’emicrania, la sindrome del bambino iperattivo con disturbi dell’attenzione, l’otite media catarrale, non è scientificamente accertato che essi ne siano la causa.
Viceversa certo è il ruolo degli alimenti in alcune forme di orticaria (ma non in tutte!), in alcune forme di dermatite atopica (ma non in tutte!), in molti casi di asma, rinite, tosse persistente, diarrea cronica, scarso accrescimento, colte con emissione di sangue nelle feci. Infine pur non essendo sempre e in ogni caso legato all’allergia agli alimenti tale allergia è nell’età pediatrica la causa più frequente di quello che in genere viene chiamato shock anafilattico ma che sarebbe più proprio definire semplicemente anafilassi o reazione anafilattica perché lo shock, cioè la partecipazione dell’apparato cardiocircolatorio alla crisi, non è necessariamente sempre presente. La causa più frequente di anafilassi nel bambino sono quindi gli alimenti ed in particolare l’alimento più frequentemente responsabile ne è il pesce. Frequente anche l’anafilassi da latte, uovo, arachidi.

Come si fa la diagnosi

E’ questo un argomento molto importante. La diagnosi di allergia alimentare non è facile e richiede delle competenze specifiche per evitare che, come spesso avviene, bambini vengano etichettati come allergici pur non essendolo o viceversa l’allergia venga esclusa sulla base soltanto di test negativi.Vanno tenuti presenti due concetti fondamentali:
1. I test di laboratorio (RAST) ed i test cutanei (Prick) si basano sul reperimento, nel sangue o sulla pelle, di un particolare tipo di anticorpo (le cosiddette IgE specifiche) che possono essere responsabili delle reazioni allergiche cosiddette di I tipo o, appunto, IgE mediate;
2. Avere nel sangue e sulla pelle queste IgE specifiche (cioè essere sensibilizzati ad un alimento) non significa necessariamente che all’assunzione di quel certo alimento si verifichi la reazione allergica. In altre parole la sensibilizzazione non significa necessariamente allergia.

Le conseguenze di questi due concetti, come detto fondamentali, sono molteplici:
A. Un test negativo, prick o RAST che sia, non esclude quel tipo di allergia non legata alle IgE specifiche. In altre parole i test negativi non escludono la cosiddetta allergia cellulo-mediata, ritardata, spesso di interesse gastrointestinale. Scendendo ancor più nel dettaglio se un bambino, per esempio, non ha RAST positivi o prick positivi per il latte ciò non significata che la sua diarrea persistente, il suo scarso accrescimento, il suo vomito abituale, la sua dermatite atopica non siano dovute all’assunzione di questo alimento. E’ pertanto non utile ed errato in questi casi far dipendere la diagnosi e la conseguente dieta senza latte e derivati dai risultati dei test. Quello che è determinante, in questi casi è la prova pratica: cioè praticamente si sospendono latte e suoi derivati dalla alimentazione usuale del bambino e si osserva se i sintomi che hanno indotto il sospetto migliorano o scompaiono (test di eliminazione).
B. Un test positivo, prick o RAST che sia, per un certo alimento non significa che quel bambino abbia vere autentiche reazioni a quell’alimento. Si osserva spesso, nella pratica quotidiana, che a bambini che hanno sempre assunto, senza veri disturbi, alimenti come il latte o l’uovo o il grano o il pomodoro o quant’altro, venga imposta la sospensione di questi stessi alimenti perché, spesso per motivazioni del tutto fantasiose, sono stati eseguiti dei test allergici che sono poi risultati positivi. La positività non significa necessariamente allergia.
Esistono per i vari alimenti diversi “valori predittivi positivi” (VPP), cioè diverse probabilità statistiche che ad un test positivo corrisponda una autentica reazione avversa all’assunzione degli alimenti. Questo VPP è maggiore ad esempio per le arachidi ma molto basso, ad esempio, per il grano. Ciò significa che se un bambino ha un test positivo per il grano è più probabile che in realtà quel bambino il grano lo possa assumere tranquillamente senza problemi piuttosto che gli faccia, in qualche modo, male. E’ sempre necessario, pertanto, in questi casi, prima di definire il bambino allergico al grano e tormentarlo con diete inutili, eseguire delle prove pratiche valutando il miglioramento dei disturbi con la sospensione dell’alimento e la loro successiva ricomparsa alla sua risomministazione (test di eliminazione e test di tolleranza o provocazione o challenge). Per il latte il valore predittivo positivo è inferiore al 50%: in altre parole meno della metà dei bambini con RAST o test cutanei positivi per il latte ha una autentica non tolleranza all’assunzione dell’alimento.

Sono utili i “test allergici”?

Se un test negativo non esclude la presenza di allergia ed un test positivo non significa necessariamente allergia è dunque inutile eseguire test allergologici per gli alimenti?No, non è inutile. Bisogna naturalmente conoscerne il significato e i limiti. Non bisogna affidarsi completamente ad essi per la gestione del bambino. Non si deve curare il test ma la allergia: il test è e deve essere considerato un supporto, un aiuto diagnostico con significatività diversa a seconda della storia clinica del bambino, dei sintomi che presenta, di quanto intensa sia la positività di esso.
La storia medica (anamnesi) del bambino, sia familiare che personale è fondamentale. In base ad essa nasce il sospetto diagnostico. Tale sospetto diagnostico deve essere sostenuto da competenze specifiche che permettano di ipotizzare o meno il movente allergico di determinati sintomi. Il medico deve sapere, ad esempio, che è molto improbabile che una diarrea persistente o uno scarso accrescimento in un bambino che abbia superato i due anni possa essere dovuto ad allergia alimentare, al latte in particolare, così come deve sapere che non tutte le eruzioni cutanee che il bambino presenta sono dovute ad “allergia” ma che sostanzialmente solo l’orticaria e la dermatite atopica, che hanno quadri clinici molto caratteristici, possono, ma non sempre è così, essere dovute all’allergia agli alimenti. Viceversa è estremamente frequente vedere bambini alimentati in maniera sempre più restrittiva per malattie della pelle le più diverse e del tutto lontane da quelle due malattie.
Una volta che il medico competente abbia considerato compatibile con una condizione di allergia alimentare i sintomi che il bambino presenta è giustificato che esegua o faccia eseguire dei test, ma è doveroso che nella loro interpretazione consideri i limiti di essi e soprattutto sia dotato di buonsenso. Ovviamente è tanto più probabile che il test esprima una vera allergia quanto maggiormente positivo è il risultato e viceversa. I valori di RAST < 3,5 kU/l o una modesta positività (es +) al test cutaneo più difficilmente sono predittivi di una vera allergia; viceversa tanto più elevati saranno i valori tanto più facilmente i bambini saranno veramente allergici all’alimento. Sono stati da vari studiosi della materia messi a punto dei valori soglia dei test per il latte, l’uovo, il grano, il pesce, al di sopra dei quali c’è praticamente la certezza che quell’alimento sia nocivo al bambino.
D’altra parte in malattie come la dermatite atopica, lo scarso accrescimento, la diarrea, l’asma il medico deve sapere che il test negativo non esclude l’allergia al latte od ad altro alimento potendo, esse, essere legate ad un meccanismo che non prevede l’intervento delle IgE specifiche. In questi casi pertanto saranno altri parametri, l’età del bambino (fattore essenziale!) la familiarità, la coesistenza di altri sintomi, la mancata risposta ad un adeguato trattamento, a far pensare che l’alimento possa essere importante.
Per tutti questi motivi, in ogni caso, va sottolineato che il vero test per la diagnosi di allergia alimentare nel bambino, siano positivi o no gli esami del sangue e le prove cutanee, è il test di eliminazione dell’alimento per uno o due mesi e la sua successiva reintroduzione. Si potrà allora valutare se veramente quel dato disturbo era legato a quel certo alimento attraverso la sua scomparsa prima e la sua ricomparsa dopo, al momento in cui l’alimento viene reintrodotto.